lunedì 10 ottobre 2022

HO FATTO UN GIRO NEL LATTE DEI SOGNI

 

Ho fatto un giro nel latte dei sogni della Biennale 2022.

Come sempre è perfettamente immersa nel periodo attuale, quindi permeata di pessimismo, disperazione e ricerca di una soluzione.

La gioia di tornare a vedere la rassegna dopo gli ultimi due anni bui è mitigata da un messaggio di disperazione che cerca rimedi.

Ho iniziato a visitare la biennale dal padiglione della Danimarca, dove viene rappresentata una scena rurale in una cascina danese.

Tutto sembra apparentemente tranquillo fino a quando all’improvviso non ci si trova di fronte al maestoso centauro impiccato.

Ci si gira attorno e è talmente vero che da un momento all’altro ci si aspetta un segno di vita, un lamento d’agonia.

Superato lo shock della visione, un altro squarcio di disperazione è rappresentato dal centauro donna che sta dando alla luce una creatura distesa in fondo alla sala, con i visitatori che fanno da testimoni involontari dell’accaduto.

Per me, niente di più forte per significare l’impossibilità dell’uomo di trovare giusto e armonico rapporto con la natura.

Allora se con la natura va male, perché non dare alla tecnologia il primato, perché non lasciarsi affascinare e trascinare nel padiglione della Corea.

Macchine prodigiose catturano particelle infinitamente piccole e come grilletti impazziti fanno animare un serpentone metallico in mezzo ad una sala piena di persone intontite.

Il serpentone piega le sue squame ricche di colori e sembra che da un momento all’altro possa staccarsi dal soffitto e scappare seminando stupore.

L’uomo sembra cercare distanza da queste invenzioni dando loro una vita indipendente dalla sua volontà e prodigiosamente prodotta da elementi invisibili come i muoni.

Uno sprazzo di speranza, seppur venata di sconvolgimento, è rappresentato dal padiglione canadese dove Stan Douglas descrive rivolte, disordini e occupazioni in diverse parti del mondo con delle macrofotografie stranianti, con gruppi di persone aggiunti in contesti incoerenti.

L’uomo però è qui di nuovo centrale e responsabile del proprio destino.

Un ultimo sussulto di antropocentrismo.

E nel padiglione del Giappone, ancora una sferzata violenta alla centralità dell’uomo, perché il centro della sala è vuoto e sulle pareti scorrono frasi ed interrogativi semplici ed universali come a testimoniare un ritorno alle cose più semplici per ritrovare riferimenti ormai svaniti.

Ma il più grande disorientamento si prova entrando nel padiglione spagnolo dove Ignasi Aballi compie uno sforzo titanico raddrizzando lo stesso edificio che lo contiene.

Fa ruotare l’edifico di 10° costruendo le pareti all’interno dell’edifico originario.

E si perdono tutti i punti di riferimento.

Se non si vuole perdere completamente la testa, meglio recuperare allora il rapporto diretto con il nostro corpo, con le differenti parti del nostro fisico, con orecchie, schiena, nasi, occhi, lingue e con il nostro essere uomini attraverso delle espressioni tipiche brasiliane ricche di senso dell’umorismo ma anche poetica tristezza.

Tutto trasuda umanità nel padiglione brasiliano di Jonathas de Andrade.

E che sorpresa quando si gonfia il cuore in mezzo alla sala tenendo i visitatori imprigionati per un po’, rappresentando materialmente il coraçao saindo pela boca (cuore in gola).

Entrare nel padiglione del Belgio e venire colpito dai colori accesi dei vestiti di un bambino africano che in un video divertente, con molta fatica e con l’aiuto dei suoi amici, trascina un enorme copertone di ruota su per una salita di una collina grigia e nera e poi infilandosi al posto della camera d’aria scende vertiginosamente roteando insieme al caucciu’.

E’ il gioco, altro rigurgito di umanità, altro segnale di affermazione questa volta dei bambini, poveri e in posti marginali del mondo, che tengono viva la speranza e che implicitamente ci dicono che attività ludica ci puo’ salvare.

Un passaggio dal latte dei sogni è necessario se si vuole lenire il dolore di questi tempi.

Bisogna pero’ esser ben presenti a sé stessi se non si vuole restare invischiati in questa subdola dolcezza e annegare nella disperazione.

Comunque tutto passa, bevendo due spritz al Select al Refolo di Corso Garibaldi appena fuori dal giardino della Biennale.

Mi metto in attesa del 2024…..sperando che nel frattempo non mi spunti la coda…

 


 

 

 

 

PALERMO E POI MUORI

 


Tornare a Palermo significa fare i conti con l'essenza più profonda della nostra nazione, delle nostre grandezze, dei nostri talenti e delle nostre miserie più profonde.

Davanti a tesi aprono panorami naturali unici e opere d'arte mozzafiato, che ti tolgono per un attimo il respiro, ma tutt'attorno ci sono evidenti segni di abbandono, di mancanza d'amore, di trascuratezza, di voglia di brutto.

Stare a Palermo significa essere perennemente dilaniati da questo contrasto, lo splendore della cappella palatina, la natura nella rigogliosa e movimentata ricchezza dei ficus magnolioide e poi sacchi di spazzatura dappertutto, palazzi tristi che raccontano di antichi fasti andati e che adesso fanno piangere.


E il milanese benestante nota tutto, si bea anche un po' di questo quadro decadente, che bello quel palazzo senza finestre! Com'é romantico! Pero' come si mangia bene! Eppoi pero' torniamo veloci dopo solo qualche giorno alle efficienze asburgiche di Milano perché altrimenti come facciamo ad apprezzare la lentezza e il disordine palermitano?

Provo un sottile disagio quando sono in quei luoghi, sotto sotto anche un po' di rabbia perché la Sicilia potrebbe essere la California, con innumerevoli ricchezze in più e pane panelle e crocché.

Invece tutto rappresenta un'enorme occasione perduta, un rimpianto perenne, e i siciliani sembrano esserne coscienti e in larga parte continuano ad alimentare questa frustrazione lasciando che la loro terra s'abbandoni ad un lento ma inesorabile declino.

Eppure ci sono delle possibilità di riscatto come Palazzo Butera dell'imprenditore Valsecchi, ci sono persone coraggiose che ostinate si ribellano a questo scivolamento.


Propongo di istituire una caccia al tesoro nei palazzi diroccati e chi la vince ha l'obbligo di ristrutturarli e riportarli all'anziano splendore.

Propongo che tutti i nobili palermitani ancora arroccati nelle loro magioni siano passati per le armi e anzi rintrodurrei la ghigliottina, tagliando teste senza sosta sino a capodanno del 2023.

Propongo di introdurre l'inquisizione con torture indicibili inferte ai no-vax, e soprattutto procedendo a vaccinarli anche per l'orchite in modo che quando naturalmente si gonfiassero i loro coglioni, fossero piegati dal dolore perché il vaccino inibirebbe lo sfogo e il rigonfio del testicolo.

Propongo di abolire tutte le feste religiose, processioni, scioglimenti di sangue, feste patronali e istituirei dei festeggiamenti puramente laici tipo la giornata dell'Ikea, la settimana santa Amazon con cavalcata di femmine nude per Via Maqueda, l'immacolata concezione del telefonino in cui ciascuno racconta la sua applicazione preferita e se agli altri non piace, viene esposto al pubblico ludibrio con lancio di ortaggi e ricorso a sberleffi tipo pernacchie o gavettoni.

Propongo di rendere illegali tutti i cibi tipici siciliani, in modo che si creassero dei cartelli tipo quelli messicani, Sinaloa, Los Zetas, Jalisco ma che invece di spacciare cocaina spacciassero sfincioni, pane co'la meusa, e panelle.

Propongo di parlare con le famiglie mafiose più importanti in una conferenza dal titolo Palermo Riaffermo, in cui chieder loro di misurarsi in dei giochi senza frontiere con il fioul rouge, tipo ruota della fortuna...

Propongo di istituire una festa nazionale della Cassata, che duri sei mesi, in cui si mangi solo cassata ascoltando solo musica dodecafonica tipo Luciano Berio, entrando quindi obbligatoriamente in una specie di trance prolungata in cui far salire i triglicerdi per l'abuso di cassate e la consapevolezza di sé stessi attraverso delle gare si scoregge giornaliere al termine delle quali proclamare il sindaco di Palermo per i successivi anni.